In un tempo lontano (o forse neanche molto lontano), Across the Universe riecheggiava tra le mura della mia stanza in loop mentre tutto fuori andava a pezzi. Una scena degna dei migliori meme oggi, eppure la mia vita era così.
“Nothing’s gonna change my world era l’ancora a cui mi aggrappavo per cercare di tenermi ancora intera. In quel caos che sembrava voler trascinare tutto in nessuna direzione, John non mi prometteva soluzioni né un lieto fine: sussurrava una sorta di accettazione radicale, un nuovo abbandono al flusso. E io, che non avevo più energia per reagire, ma soprattutto che non avevo potere o alcuna possibilità di cambiare le sorti degli eventi, mi sono abbandonata e aggrappata alle sue parole, come se fossero un mantra capace di allentare ogni tensione. Across the Universe non era solo una canzone: era un porto sicuro. Ogni volta che le parole “Nothing’s gonna change my world” si ripetevano, arrivava finalmente quella calma che sembrava irraggiungibile altrove.
Non sarebbe andato tutto bene, io dovevo solo ‘lasciar scorrere’: le parole scivolano via come pioggia infinita in una tazza di carta. Loro avevano ‘Jai Guru Deva Om’, io avevo Across the Universe, che mi accompagnava e mi accompagna tutt’oggi quando non posso permettermi di farmi inghiottire.
Era la fine degli anni ’60: la meditazione trascendentale, il cosmo, l’armonia con l’universo, il rooftop concert. E poi, i Beatles sull’orlo della separazione sembravano quasi anticiparne un’altra, quella che avrebbe toccato la mia famiglia 50 anni dopo. Tutto questo risuonava profondamente con il mio stesso senso di perdita. Forse è per questo che Across the Universe è diventata così importante per me. Proprio come i Beatles hanno dovuto accettare di sgretolarsi per riscoprirsi come individui, io ho imparato a dover lasciar andare le aspettative.
Da quel momento in poi, ho iniziato a vivere seguendo quel flusso, quasi senza accorgermene. Le cose inaspettate, difficili, e persino disperate hanno trovato in me una risposta che ormai sembrava scontata: fluttuare.
“Across the Universe”, nel suo nucleo, è una canzone sull’esperienza umana. Ogni piccolo corpo come il nostro si porta addosso gli eterni dilemmi dei sentimenti, del tempo, della mortalità e di un universo in continua espansione che chiamiamo casa. È un pensiero spaventoso, all’inizio: sapere che nulla di ciò che siamo o facciamo sembra contare nel grande schema delle cose. Ma poi arriva la consapevolezza che le nostre vite non si giocano nei grandi schemi. Qui, nel nostro piccolo tempo su questa Terra, siamo il centro del nostro universo. I nostri amici e la nostra famiglia orbitano intorno a noi e ogni azione che compiamo assume un significato. L’universo è immenso, sì, ma noi contiamo ancora al suo interno.
Il testo ha radici in una tradizione spirituale che i Beatles stavano esplorando negli anni di quel periodo, ma nella canzone il mantra acquista una dimensione più essenziale e universale. Ripetuto come un ritornello, comunica una doppia verità: da un lato, il mondo è immenso e i nostri problemi sembrano insignificanti; dall’altro, ogni dettaglio della nostra esistenza ha un valore intrinseco.
Ed è forse proprio in questo valore che si inserisce quello che viene banalmente e comunemente chiamato egoismo, oserei dire sano, che la canzone sembra suggerirci tra le righe. Fluttuare non significa fuggire o chiudersi di fronte al mondo, ma imparare a proteggere il proprio equilibrio interno, riconoscendo che prendersi cura di se stessi è l’unico modo per affrontare il caos senza esserne sopraffatti.
L’amore per se stessi non sminuisce l’empatia verso gli altri, verso le cose che ci accadono, ma la potenzia, permettendo di essere presenti e autentici senza consumarsi. È come se “Across the Universe” ci ricordasse che, per quanto il mondo sia vasto e travolgente, abbiamo il diritto di ritagliarci uno spazio sicuro dove accogliere ciò che sentiamo, i nostri bisogni e dare loro un significato, senza paura di sentirci egoisti nel farlo.
È così che è stato il mio anno. A un certo punto, l’egoismo non è stato più una parola carica di giudizi, ma un gesto di sopravvivenza: quello di ascoltarmi, di nutrire le mie radici, di abbracciare la necessità di non dover sempre essere all’altezza delle aspettative degli altri per non perdere me stessa.
C’è chi dice che Fiona Apple abbia dato finalmente giustizia al brano e io sono pienamente d’accordo. La sua interpretazione nel video della sua versione di Across the Universe, così intensa e vulnerabile, mostra con forza come una volta che si raggiunge una pace interiore autentica, nessun turbinio possa più turbare quella serenità. Almeno io ci vedo questo. Il suo sorriso, dolce ma contraddetto dalla follia che la circonda, racconta tutto: l’armonia interiore nonostante il caos esterno.
È l’unica vera libertà. Più la coltiviamo, più niente può scalfirla.

