Il nome di mio padre è Andrea, ma tutti lo chiamano Bruno

C’è una storiella (breve ma intensa) della mia vita che racconto ogni tanto. Se mi conosci, saprai sicuramente che mio padre ha un nome di battesimo: Andrea. Però tutti lo hanno sempre chiamato Bruno. Ci sarà sicuramente una ragione più oscura e profonda legata anche alla cultura del mio paese di provenienza che possa porre fine ai nostri dubbi su questo insolito fenomeno, ma “Bruno” è il nome d’arte di mio padre, e la sua ‘arte’ è quella di avere una carnagione piuttosto scura, bruna. La cosa esilarante è che le persone alle quali si presenta come “Andrea” non immaginerebbero mai che il resto del mondo lo chiama Bruno e viceversa. Per chi lo conosce da una vita, mio padre avrà sempre la faccia da Bruno. 

Eppure, non è solo il soprannome di mio padre a rispecchiare questa dinamica. Spesso, i soprannomi nascono per rendere un nome più corto, più affettuoso, o semplicemente per mettere in evidenza un tratto distintivo, come un’abitudine o un aneddoto legato alla persona. Nei piccoli paesi, dove tutti si conoscono, è quasi una regola non scritta: il soprannome diventa il tuo vero nome, più autentico del nome all’anagrafe. E chi siamo noi per dire che un soprannome non può essere considerato un nome d’arte? 

Quando ho scoperto che Checco Zalone in realtà si chiama Luca Medici, non potevo crederci. Non riuscivo proprio a credere che dietro a quel nome così buffo si celasse una persona con un nome tanto semplice e comune. Checco Zalone ha la faccia da Checco Zalone: è impossibile pensarlo altrimenti. 

Chi avrebbe mai detto poi che Elton John, il raffinato baronetto inglese della musica, fosse nato come Reginald Kenneth Dwight? Reginald Dwight sembra più un ragioniere che un pioniere del glam rock, e infatti Elton stesso ha confessato di aver scelto il suo nome d’arte per riflettere la sua trasformazione e il suo desiderio di reinventarsi.

Un’operazione di reinvenzione che ha fatto il giro del mondo e che ha portato l’artista a diventare una leggenda, proprio come quella di Freddie Mercury, che dietro al suo nome si nascondeva un certo Farrokh Bulsara. Anche Freddie ha scelto un nome d’arte per sentirsi più libero di esprimere se stesso, e Mercury rappresenta un omaggio alla mitologia greca, ma anche la sua personalissima visione di grandezza. 

Un altro caso interessante è quello di Nina Zilli. Nata Giuseppa Rosa Nicolini, ha scelto un nome che evocasse la passione per il jazz e il soul. “Nina” è un omaggio alla leggendaria Nina Simone, e “Zilli” come un suono che le sembrava perfetto per la scena musicale internazionale. 

E poi c’è Sting, ovvero Gordon Sumner. Questa è divertente: il nome “Sting” gli è stato dato dai suoi compagni di band per via della sua abitudine di indossare sempre una maglia a strisce gialle e nere, che ricordava proprio un’ape.

E a proposito di nomi d’arte, c’è anche Bono (U2), il cui vero nome è Paul David Hewson, che ha sempre detto di non essere troppo entusiasta del suo soprannome. Nonostante il nome “Bono” (derivato da una storia adolescenziale, ispirato alla famosa catena di negozi “Bono Vox”) sia ormai associato alla sua figura, Bono stesso lo ha definito “piuttosto ridicolo” e l’ha attribuito più alla casualità che a una scelta consapevole, ma nel corso degli anni è diventato parte della sua identità.

Tutti questi nomi, seppur scelti (e non) per ragioni diverse, hanno un filo conduttore: rappresentano una parte importante della loro identità artistica e ci aiutano a vederli sotto una luce completamente nuova. Un po’ come babbo, Andrea, che per tutti è Bruno: un nome d’arte che racconta un altro modo di essere.