Chiudi gli occhi ed immagina una gioia: molto probabilmente penseresti a una partenza

Mi dispiace per te. Se vieni a leggerti qualche volta le storie in questa cassetta, ritroverai ogni tanto quello che mi combina Niccolò Fabi, durante le fasi alterne della vita. In foto, una raggiante Carmela, anno 2012, in modalità sfocata, azzeccata come una cozza a quest’uomo che per me rappresenta qualcosa di non terreno ma profondamente umano. Conforto senza anestesia. Qualcuno che, più che dare risposte, ti insegna a stare nelle domande.

E quindi, adesso, chiudi gli occhi ed immagina una gioia. Siamo dentro alla nostra storia, chiunque tu sia, qualunque siano la tua vita e le tue emozioni. In questo preciso istante, Niccolò ci mette davanti un’immagine familiare: la partenza. Ma aspetta, non quella dei bagagli pesanti, delle separazioni e delle fughe. È uno slancio, un inizio, il momento esatto in cui qualcosa si muove dentro. Ed è proprio in quell’attesa che si fa spazio la meraviglia delle prime volte: quel misto di eccitazione e vertigine che ci sospinge verso la rinascita. 

Si vivesse solo di inizi. Un potere mitologico: il momento in cui tutto è ancora possibile o forse no. La paura, la voragine, lo stomaco in subbuglio, il capogiro da adrenalina: sentirsi vivi. Quando tutto ti sorprende e nulla ti appartiene ancora. Eh no, non siamo su una giostra impazzita: questi sono i nostri ricordi. Niccolò ce li spiaccica davanti come delle piccole epifanie che ci fanno venire in mente tutte le nostre prime volte. L’odore di un libro nuovo, quello della vernice fresca, una matita intera, la primavera. Riesci a ricordare uno di questi momenti? 

Riuscire oggi ad accorgerci della fragilità della bellezza delle cose che ci circondano senza cecità può forse anche per un attimo alleviare il macigno trasparente che ci trasciniamo dietro nelle nostre vite, impilate una sull’altra come dei fogli di carta su una scrivania, sbiadite dal tempo. 

Ma tra il fremito dell’inizio, la partenza e la fine del viaggio, che cosa c’è? Che cosa ci aspetta? Occhio che arriviamo al ritornello: nel mezzo c’è tutto il resto, giorno dopo giorno, silenziosamente costruire. E costruire è rinunciare alla perfezione. Costruiamo senza i fuochi d’artificio dell’inizio, senza l’applauso finale della conclusione. Costruiamo nell’abitudine, nella quotidianità, nei dettagli ripetuti, nei gesti che si sommano uno sull’altro, nella fatica ma nell’accettazione e nella consapevolezza dell’armonia di questi momenti. Lontano dall’ebbrezza delle prime volte e dal sipario che cala, c’è la costanza, la dedizione, il trovare significato anche dove non sembra esserci nulla di straordinario.

Costruire senza la pretesa di raggiungere la perfezione significa accettare che non tutto sarà memorabile. Gli inizi non sono mai veri, dice Niccolò, la verità arriva dopo, quando la consapevolezza di non essere perfetti riesce a non scalfire quello che si sta costruendo. Da qualche parte ho letto che Costruire è illuminante, come dovrebbe essere la rivelazione della serenità: e ce ne vogliono di mattoncini, di forza di volontà, di desiderio per costruirla e godersela. E dunque, qual è il finale? 

È di certo più teatrale. Così di ogni storia ricordi solo la sua conclusione. L’ultimo bicchiere, il tramonto solitario, l’inchino e il sipario. Se l’altra faccia dell’inizio è la sua fine, i giorni della perdita e dell’abbandono a volte sono l’ultima cosa che ci resta di quello che abbiamo provato a costruire. Si chiude il cerchio. Le storie, le relazioni, i sogni: tutto ha una conclusione.

Ma aspetta.

Niccolò non ci lascia con la nostalgia sterile della perdita.

Se abbiamo costruito senza paura di non essere perfetti, se abbiamo accettato la serenità come il cuore pulsante dell’esistenza, allora anche la fine non è che un’altra soglia, un passaggio che non annulla ciò che è stato, ma lo custodisce. Se costruire è un atto di volontà, accettare la fine è un atto di fiducia: fiducia che qualcosa rimanga, che nulla sia stato vano, che la bellezza di ciò che è stato non si dissolva nel nulla.

Niccolò lo sa, lo racconta senza retorica: il tempo passa, le cose cambiano, le mani si stringono e poi si lasciano.

Io ti stringo le mani, rimani. Cadrà la neve a breve.