La felicità è un’invenzione umana. Come del resto tutto quello che si riduce alla sola esperienza dell’uomo in quanto uomo, diverso dagli altri esseri animati o inanimati, abitante della Terra, terrestre. È, invece, l’aggettivo umano che racchiude in sé una complessità straordinaria.
La grande contraddizione dell’uomo: alla ricerca costante della felicità, il primo a sabotarla. Essere umani è sentirsi fragili e forti allo stesso tempo, capaci di creare lettere e parole e accostarle a concetti come quello della felicità per arrivare a dare un senso all’esistenza, ma capaci anche di vivere perpetuamente in bilico tra desideri, paure e bisogni primordiali.
Non può esistere felicità senza l’altra faccia della sua medaglia. Ogni esperienza umana è intrecciata a un senso di incompletezza, di mancanza, di continua tensione tra ciò che desideriamo e ciò che poi realmente siamo.
La felicità, così come noi esseri umani la concepiamo, è fatta di contrasti: non può esistere senza la tristezza, senza la noia, senza il vuoto che la precede e molto spesso la segue. È l’equilibrio precario tra la pienezza e l’assenza.
Quando al liceo studiavo tedesco, mi colpì tanto una frase di Thomas Mann, nel libro Tonio Kroger, che mi viene spesso in mente:
La felicità non sta nell’essere amati: questa non è altro che una soddisfazione di vanità mista a disgusto. La felicità sta nell’amare, e nel carpire tutt’al più qualche illusorio istante di vicinanza all’oggetto amato.

Thomas Mann mi diceva quando avevo 17 anni che mai e poi mai la felicità si dovrebbe subire, né tanto meno pretendere da qualcun altro. L’amore e il desiderio di vicinanza all’altro possono essere effimeri e pregni di sofferenza, ma è proprio questa condizione che ci fa percepire la felicità come un’illusione, che può essere tanto più vera quanto più fragile.
E secondo te, Tonio Kroger era davvero felice? No, almeno non nel senso comune del termine. La sua felicità è più complessa e contraddittoria, spesso legata allo scontro tra il suo desiderio di vivere l’intensità dell’esperienza umana e la consapevolezza della sua natura profondamente solitaria e introversa. Infatti, per lui, la felicità è transitoria e inafferrabile.
La sua vita riflette la consapevolezza che la felicità è una sensazione momentanea, e che il vero significato della sua esistenza risiede più nella ricerca che nel raggiungimento di essa.
Ho trovato questo poi più tardi anche in Felicità di Lucio Dalla. Quella che non si sa su quale treno della notte viaggerà.
Così come il treno della notte viaggia senza fermarsi mai completamente, anche la felicità appare e scompare, in un bagliore che ci rimbalza accanto senza mai veramente afferrarlo. Il nostro mezzo di trasporto mette in luce il fatto che la felicità stessa è un movimento perpetuo, si realizza nel mentre, più che nel raggiungimento di una destinazione finale.
Siamo dunque destinati a non conoscere mai il vero volto della felicità?
L’idea che per essere felici “basta un niente, magari una canzone” ci dice subito che, sebbene la vita sia una incognita, la felicità può comunque esistere in un momento di bellezza o di pace, o forse anche di magia. Perché di draghi, baby, non ce ne sono più: siamo di fronte alla perdita della magia e dell’immaginazione. I draghi, figure mitologiche di grande potere e fascino, di cui parla Lucio Dalla, sono “strabici”, come se la loro maestosità fosse alterata, simbolo di una realtà che ha perso il suo splendore.
Questa parte della canzone racconta di una disillusione verso il mondo, dove i sogni diventano “pallidi e bianchi” e sembrano rimbalzare stanchi tra le “antenne lesse” delle varie TV. È come se il mondo moderno, saturo di informazioni e immagini, avesse indebolito il potere del fantastico, facendo apparire i sogni e le illusioni come qualcosa di superficiale, inappagante e distante dalla realtà. In queste due visioni, Lucio Dalla ci fa riflettere sulla fragilità del mondo in cui viviamo e sulla difficoltà di mantenere viva la magia della felicità, della bellezza e del sogno, in un contesto che sembra costantemente svuotarsi di significato.
Grazie però per essere arrivato fino alla fine.
Perché sebbene sia importante prendere consapevolezza di quello che ci mette sul tavolo la nostra vita, accettare il fatto di essere imperfetti e vivere in un’eterna insoddisfazione, posso ora dirti che una potenziale salvezza c’è. Non sono nessuno per dirti dove trovare la felicità, né tantomeno come acciuffarla. Sono anche io, come te, un essere umano e mi interrogo ogni santo giorno sulla mia umanità e sull’esistenza della felicità. Infatti non lo dico io, ma ce lo dice Lucio. Che, come sa fare bene, ci parla di semplicità e della bellezza immediata della vita. Pur nella riflessione sulla fragilità della felicità, la canzone lascia uno spazio aperto a chi voglia cercarla, dove la felicità è forse meno una destinazione e più un momento di connessione con ciò che ci circonda.
C’è e ci sarà sempre spazio per un’esperienza autentica, qualcosa che ci riporta a quella bellezza primordiale che è più legata alla sensazione che alla materia. Che mi ricorda tanto una sensazione di serenità e pace con se stessi e con il mondo.

